ITALIANI DI TUNISIA: lingua e identità (1816-1896)

Italiani di Tunisia :
lingua e identità (1816-1896)1

Danielle Laguillon Hentati2


Articolo pubblicato in: Collettivo L’Unità italiana vista dalla riva sud del Mediterraneo. Istituto Italiano di Cultura, Tunisi, ed. Finzi, 2012


Lei la m’avrebbe a dar qualche lezione,
Se un le dispiace, di parlar toscano;
I’ rischio forse di parerle strano,
Ma la lingua è la mia prima ambizione.
De Amicis3



Il 150° anniversario dell’Unità d’Italia venne festeggiato nel 2011 con fasto e solennità in Italia come pure all’estero. Ma un anniversario così importante è anche occasione di evocazioni, di considerazioni e di pensamenti. Questo articolo4 si propone quindi di avviare una riflessione sulla "lingua italiana fattore portante5" della costruzione identitaria della collettività italiana nella Reggenza di Tunisi durante l’Ottocento, vale a dire durante il Risorgimento e dopo l’Unità d’Italia.

Lingua e identità

Il mio proposito comincerà con un aneddoto. Il 29 maggio 2010 si svolse in un albergo ad Hammamet il rincontrarsi (“des retrouvailles”) di numerosi Italiani nati in Tunisia, che oggi vivono in vari paesi europei. Ci fui invitata perché amica di alcuni. Mentre li ascoltavo parlare fra di loro, rimasi colpita dalle lingue usate: i più anziani rievocavano ricordi in siciliano fra di loro, ma si rivolgevano in italiano ai più giovani che vivevano in Italia oppure in arabo ai camerieri dell’albergo per il piacere di scambiare alcune parole nella lingua del paese natio. Poi con l’insieme della comitiva come pure con il direttore dell’albergo e con vari clienti, usavano il francese. A volte nasceva da quell’intricarsi di lingue una loro lingua speciale, un vernacolo tunisino, che un mio amico chiama in modo umoristico in francese “la langue de nozautres” ossia la lingua di noi altri. Questa lingua è stata peraltro oggetto di un Lessico6 saporito, non pubblicato.
Essa riflette la complessità linguistica della collettività italiana in Tunisia (userò solo il termine di “collettività” per semplificazione del discorso). Infatti non va dimenticato che la Tunisia fu un mosaico di popoli, di vari gruppi etnici e comunità che avevano ciascuno la propria storia, la propria lingua, la propria cultura, la propria identità; ed avevano altresì una storia comune per il loro lavorare e convivere insieme sulla stessa terra, nello stesso paese.
Vari storici, ed in particolare Habib Kazdaghli, hanno studiato la storia di quelle minoranze straniere, soprattutto europee, che vissero in Tunisia fino all’indipendenza del paese avvenuta nel 19567. Ma poche ricerche8 sono state compiute sulle lingue usate come pure sui rapporti fra di esse, sui forestierismi nella loro forma originaria o adattata alla struttura fonetica dell’altra lingua, sulle modalità del loro evolversi, sul ruolo che ebbero nella costruzione dell’identità. Ché la lingua è uno degli elementi costitutivi dell’identità, che essa sia personale, collettiva oppure nazionale, in quanto vettore della cultura.

1 Articolo pubblicato in: Collettivo L’Unità italiana vista dalla riva sud del Mediterraneo. Istituto Italiano di Cultura, Tunisi, ed. Finzi, 2012
2 Professore d’italiano nelle scuole superiori francesi. Animatrice di progetti culturali e co-responsabile del Club Histoire (2003-2009) al Lycée Pierre Mendès-France di Tunisi. Membro del gruppo di ricerca “Memoria degli Italiani di Tunisi”. Ricercatrice in storia contemporanea studia la storia dell’insegnamento e la storia degli Italiani in e di Tunisia. Ha co-diretto la pubblicazione del volume “Scrittori e poeti Italiani di Tunisia” e sono in preparazione i suoi lavori di ricerca su “Un lycée et ses élèves dans la guerre. Le Lycée Carnot de Tunis (1939-1945)”.
3 Edmondo De Amicis Il toscaneggiante. Poesie. Treves, Milano
4 Questo articolo è stato elaborato a partire da un intervento fatto durante un convegno svoltosi il 13.10.2010 presso l’Ecole Normale Supérieure di Tunisi, organizzato dall’ATMOPA (Association Tunisienne des Membres de l’Ordre des Palmes Académiques) e dall’E.N.S. di Tunisi. Titolo del mio intervento: Italiens de Tunisie: quelle langue pour une identité ?.
5 Titolo di un incontro svoltosi il 21.02.2011 al Palazzo del Quirinale a Roma.
6 Renato Iovino Lexique sicilo-tunisien. Annotazioni di Habib Hentati e Danielle Laguillon Hentati.
7 La “partenza” dei cittadini non tunisini ebbe luogo dal 1955 al 1967, fu un lungo processo in relazione con l’evoluzione politica del paese, ma anche in concomittanza con certi avvenimenti internationazionali quali la crisi di Biserta (1961) e la guerra del 1967 fra Israele e i paesi arabi.
8 Vedasi : Adrien Salmieri Notes sur la colonie sicilienne de Tunisie entre 19ème et 20ème sièclesIn : Jean-Charles Vegliante (dir) Ailleurs, d’ailleurs. Circé, 1996; Marinette Pendola La lingua degli Italiani di Tunisia. In: Silvia Finzi (a c) Memorie italiane di Tunisia. Finzi ed., Tunisi, 2000.


Tuttavia l’italiano come lingua della nazione esiste solo dal 1861, anno della proclamazione del Regno d’Italia, Torino essendone la capitale, prima che Roma fosse eletta a capitale nel 1871 ad Unità compiuta.
Allora varie domande si pongono, la prima essendo quella di sapere di quale italiano stiamo parlando : dei vari dialetti in uso nella penisola e nelle isole nell’Ottocento ? dell’italiano prima del 1861, vale a dire dell’italiano toscaneggiante della seconda stesura dei Promessi Sposi di Manzoni ? dell’italiano diventato lingua ufficiale del Regno d’Italia dopo il 1861 ? dell’italiano standard usato oggi ? oppure di quello della prosa gionalistica ? di quello della letteratura ? ecc...
La seconda domanda riguarda i locutori : chi erano gli “Italiani” (parola generica) che si stabilirono nella Reggenza di Tunisi durante l’Ottocento ? Venivano da tutti gli Stati ma per lo più dall’Italia meridionale e dalle isole. Secondo la loro origine geografica e sociale, al loro arrivo nella Reggenza usavano sia il dialetto, sia l’italiano, ma raramente i due.
Così nella Reggenza dell’Ottocento venne importata la complessità della realtà linguistica italiana, a seconda dei flussi migratori. La situazione sarebbe stata resa ancora più intricata dal fatto che gli immigrati italiani si ritrovarono a contatto con altre lingue: dapprima con l’arabo, lingua vernacola autoctona, divisa fra arabo dialettale tunisino e arabo letterario che è la lingua del Corano, dunque la lingua della religione della stragrande maggioranza degli abitanti del paese, come pure della loro cultura; poi il maltese, lingua di un’altra minoranza importante; infine il francese, lingua allogena imposta sin dal 1881 dal protettorato francese, non con un decreto, ma tramite le istituzioni, l’amministrazione, l’economia e la cultura. Per citare solo le lingue più importanti allora in uso.
A questo punto ci si può chiedere : perché parlare l’italiano e non l’arabo, cioè la lingua della maggioranza degli abitanti del paese ? Insomma qual’era il significato del parlare italiano ?

Queste interrogazioni vanno poste rispetto al contesto storico particolare della Reggenza segnato dalla rivalità fra il Regno italiano appena formato e la Francia che impose il protettorato (1881) alla Tunisia pur avendoci pochi nazionali9. Ma questa problematica essendo troppo ampia e complessa, mi limiterò a dare solo alcuni elementi di risposta, imperniando il discorso sul ruolo della lingua nella costruzione dell’identità della collettività italiana di Tunisia. Ché la lingua è uno dei parametri dell’identità, come pure la storia, lo spazio, la genetica, la religione od anche l’antropologia. Ora, nel caso specifico degli Italiani di Tunisia, il rapporto fra lingua e identità fu fondamentale proprio a causa di questo contesto storico così particolare.
Quindi l’identità della collettività italiana di Tunisia si è costruita:
  • storicamente rispetto a tre paesi in un rapporto ambivalente d’amore / odio, vale a dire rispetto all’Italia paese di origine, quindi paese di riferimento; rispetto alla Tunisia, paese di accoglienza e di residenza; rispetto alla Francia, paese colonizzatore e dominante;
  • geograficamente in uno spazio pur sempre mediterraneo;
  • linguisticamente rispetto alla lingua del paese di riferimento fino alla rottura della seconda guerra mondiale.

Fatta questa premessa, tratterò delle prime fasi della costruzione identitaria della collettività italiana, cioè come si sia passati dall’emigrato all’italiano, poi come l’italianità sia diventata dopo l’Unità il riferimento identitario con uno studio più preciso riguardo al ruolo delle scuole nella diffusione della lingua italiana. Considerando l’evolversi della lingua nel tempo e il carattere dinamico dell’identità, ho optato per un approccio diacronico.
Le date estreme vanno dal 1816, anno in cui nasce la collettività italiana e in cui si stabiliscono i primi consoli italiani (per proteggere il commercio e tutelare i diritti dei sudditi del Regno che rappresentano), fino al 1896, con le Convenzioni tra Tunisia e Italia che fissano le istituzioni scolastiche allora funzionanti, le quali non cambieranno più.

Riguardo alle fonti utilizzate, ho trovato pochi riferimenti per varie ragioni: dapprima gli archivi riguardanti le scuole italiane in Tunisia sono scomparsi per una parte, non consultabili per un’altra parte10; in Tunisia gli archivi del Ministero dell’Educazione sono stati riversati recentemente e non ancora classificati; poi la narrativa del periodo in studio è scarsa; infine non vi sono testimonianze dirette. Nondimeno le lettere dei consoli reperibili presso l’Archivio nazionale tunisino costituiscono un materiale documentario rilevante. Ulteriori informazioni ho attinto da alcune pubblicazioni, come la relazione del Conte Filippi Fragmens historiques et statistiques sur la Régence de Tunis. Suivis d’un Itinéraire dans quelques régions du Sahra, il testo di Ersilio Michel Esuli italiani in Tunisia (1815-1861), quello di Gaston Loth Le peuplement italien en Algérie et en Tunisie, quello di Nullo Pasotti Italiani e Italia in Tunisia dalle origini al 1970, nonché da alcuni scritti pubblicati nei libri della collezione “Memorie italiane di Tunisia”, come pure dalle conferenze sui manuali scolastici indette dall’I.R.M.C. di Tunisi. Per quanto riguarda la letteratura, essa ci offre due testimonianze con Sotto le ceneri. Impressioni e ricordi- Istantanee. Scene e Sonetti barbareschi dal vero (1898) di Ercole Labronio e il romanzo (basato su una storia di famiglia) di Michele Augugliaro La partenza. La saga d’une famille sicilienne de Tunisie, la cui prima parte si svolge fra il 1887 e il 1909. Ovviamente mi sono anche giovate le mie ricerche anteriori sull’insegnamento in Tunisia, come pure quelle sui poeti e scrittori italiani en Tunisia11.


9 Nel 1881 vivevano 11.200 Italiani e 700 Francesi nella Reggenza. Fonte: Nullo Pasotti Italiani e Italia in Tunisia. Finzi editore, Roma, 1964. p. 50
10 Leila Adda Les manuels scolaires de l’enseignement primaire dans la Tunisie contemporaine : L’enseignement de l’arabe dans les écoles italiennes en Tunisie et en Libye. Conférence du 21.04.2010 dans le cadre d’un Cycle de conférences sur les manuels scolaires, organisé en 2010 par l’I.R.M.C. et le Musée de l’Education nationale de Tunis.
11 Le petit Monde de Pierre Mendès-France. 1956-2006. Partie I. L’historique du lycée (sous la direction de Danielle Hentati). Tunis, 2006 ; 50 Années à Pierre Mendès-France. Une mémoire à partager. (Sous la dir. de D Hentati et M. Tabyaoui). Publication du Lycée Pierre Mendès France de Tunis, 2006 ; Danielle Laguillon Hentati et Silvia Finzi (dir.) Ecrivains et poètes italiens de Tunisie. Scrittori e poeti italiani di Tunisia. Tunis, Finzi éd, 2007; Danielle Laguillon Hentati Aux origines du Lycée Gustave Flaubert. Conférence dans le cadre des célébrations du 50ème anniversaire du Lycée Gustave Flaubert de La Marsa (Tunisie), 2009 ; Danielle Laguillon Hentati Un lycée et ses élèves dans la guerre. Le Lycée Carnot de Tunis (1939-1945). 1ère partie : IBLA, 74° Année, 2011-1, N°207. 2ème partie : IBLA, 74° Année, 2011-2, N°208 ; Danielle Laguillon Hentati Les Palmes académiques en Tunisie au temps du Protectorat (1881-1956), en préparation












  1. Dall’emigrato all’Italiano (1816-1861)

La collettività italiana si forma ai primi dell’Ottocento a partire da tre gruppi distinti.
Il primo è un nucleo originale costituito di negozianti, di schiavi nei bagni, di discendenti di schiavi (come Giambattista Raffo), di Tabarchini, di rinnegati e di lavoratori stagionali che vengono a praticare la pesca. Ad essi si aggiungono negozianti genovesi (Paolo Antonio Gnecco, per esempio) o toscani (fra cui i Grana) che approfittano che sia cessata la Corsa per stabilirsi a Tunisi, ed anche dei medici. I sudditi del Regno di Piemonte Sardegna sono allora i più numerosi, formano una piccola "colonia"12 molto attiva. Parlano il dialetto: piemontese, genovese, sardo, oppure l’italiano e a volte anche il francese.
Il secondo comprende degli esuli ed "eliminati" politici, fuggiti per scappare alle persecuzioni in seguito alla Restaurazione dopo il 1815 oppure al fallimento dei moti nella Penisola (Nola nel 1819, Napoli luglio 1820 – marzo 182113, Piemonte e Lombardia nel 1821). Dopo il 1831 arrivano anche profughi soprattutto piemontesi, ingaggiati nella Legione straniera a servizio della Francia in Algeria ma che hanno disertato14.
Il terzo è composto di miseri, emigrati per ragioni economiche e stabilitisi a Tunisi nella scia dell’emigrazione politica. Essi pongono problema per la loro sopravvivenza sicché il console sabaudo, Palma di Borgofranco, scrive al ministero degli Esteri dei numerosi emigrati che, spinti da ragioni economiche, sono passati nel territorio della Reggenza, e che per cause diverse si sono venuti a trovare nelle più miserevoli condizioni, tanto che alcuni, per campare la vita, vengono costretti a mendicare. Perciò raccomanda che non sia accordato “il passaporto per gli Stati di Barberia a tutti gl’individui che non erano in grado di giustificare i loro mezzi di sussistenza, onde evitare gl’inconvenienti che per la miseria avrebbero potuto loro succedere in paesi musulmani15.
È quindi una collettività eterogenea per le varie origini geografiche, per gli Stati natii di cui conservano la cittadinanza, per le origini socioculturali, per le religioni: cattolici, ebrei, anglicani o per l’assenza di religione: liberi pensatori e massoni.

12 Parola ricorrente nelle lettere dei consoli presso l’Archivio Nazionale Tunisino (A.N.T.)
13 Ersilio Michel scrisse : “Fu un esodo numeroso, vasto, immenso, di migliaia e migliaia di cittadini di ogni stato e condizione. In: Esuli italiani in Tunisia, Milano, ISPI, 1941 p. 26
14 Ersilio Michel, op. cit. p. 80
15 Ersilio Michel, op. cit. p. 43










La composizione sociologica della collettività di quell’epoca presenta già delle specificità che conserverà lungo la sua storia. Essa è divisa fra un’elite colta e un popolo di miseri.
L’elite colta non è "nazionale", i suoi membri appartengono essenzialmente al Regno di Piemonte Sardegna e al Granducato di Toscana. Parlano e scrivono l’italiano letterario e il francese, come lo dimostra il fatto che alcuni esuli politici si guadagnino la vita dando lezioni d’italiano e di francese, come Luigi Visconti o Giuseppe Imbimbo; però hanno pochi allievi. È vero che la decisione poco dopo di Giuseppe Raffo di far educare i propri figli a Parigi nuoce loro in quanto poi viene imitato da altri notabili della corte beylicale.
A volte alcuni di loro parlano arabo oltre al turco, come quegli ufficiali piemontesi che hanno prestato servizio presso il sultano della Sublime Porta, mandati poi a Tunisi per partecipare alla creazione della Scuola politecnica del Bardo nel 1840, come il colonello Luigi Calligaris che ne fu direttore (1840-1850).
In quanto ai consoli italiani stabilitisi a Tunisi dal 181616, parlano italiano e francese. Palma di Borgofranco, primo console di Piemonte Sardegna, nel rendere conto della sua visita ufficiale al palazzo del Bardo, scrive che “Il principe parlando poco l’italiano che loro chiamano italiano sottile mi fece dire dal suo primo dragomanno…17 »
Il Regno di Piemonte Sardegna è allora il solo grande Stato italiano ad accreditare sudditi suoi del quadro diplomatico per rappresentarlo in Tunisia. La lingua dei consoli sabaudi è dapprima il francese, per ragioni storiche che risalgono alle origini di Casa Savoia. Così il conte Filippi, console di Sardegna in Tunisi, manda nel 1829 al conte Sallier de La Tour una relazione intitolata « Fragmens historiques et statistiques sur la Régence de Tunis. Suivis d’un itinéraire dans quelques régions du Sahara18 ». Questa relazione è redatta in francese che rimane la lingua d’uso alla corte piemontese e stenta ad essere sostituita dall’italiano. Ma nel vasto progetto politico di espansione del Regno sabaudo, l’italiano deve diventare la sola lingua della corte dei Savoia, quella del governo e quindi anche la nuova lingua usata da tutti. Perciò il ministro degli Esteri invita ripetutamente i consoli a scrivere in italiano. Tuttavia questi continuano ad usare il francese nella corrispondenza ufficiale con i Bey o in quella locale con i Tunisini come lo dimostra ad esempio una lettera19 del cavaliere Truqui a certo Si Chekir a proposito di lavori nella Casa consolare che durano troppo a lungo. Un altro aspetto interessante di questa relazione riguarda le informazioni comunicate sulla popolazione nella Reggenza di Tunisi. Il conte Filippi scrive che la popolazione è “un misto di Mori, Turchi, Coroglis o figli di Turchi, di circa cinquantamila Ebrei, e di cristiani fra i 2.500 e i 3.00020”. La maggior parte dei non musulmani vive in Tunisi.
Questi notabili, cioè negozianti genovesi e toscani, medici, consoli, appartengono alla buona società europea di Tunisi, si ritrovano spesso fra di loro per dilettarsi.

La collettività comprende da un’altra parte un popolo di “braccia nude”, di bisognosi, di miseri. La più parte è venuta dall’Italia meridionale e dalle isole, senza mezzi di sostentamento. A volte sono gli stessi consoli che devono provvedere prima di farli rimpatriare. Parlano soltanto il dialetto, essendo analfabeti. Hanno una sola preoccupazione, cioè quella di trovare lavoro in un paese di cui non conoscono la lingua, il che aumenta le difficoltà, come lo riferisce il console De Martino nei suoi numerosi dispacci al ministro napoletano degli Esteri. Le radici di questo popolo di miseri affondano nel loro villaggio natio, nella sua parlata, nelle sue tradizioni, nella sua cultura. Il loro unico riferimento è l’appartenenza geografica, è la base della loro identità.





16 Si tratta rispettivamente di Egesippo Palma di Borgofranco per il regno sabaudo e di Renato De Martino per il regno borbonico. Invece la Toscana viene rappresentata dal cavaliere Antonio Nyssen, drogomano del Bey. Danielle Laguillon Hentati Les consuls de Sardaigne (1815-1861), articolo in preparazione.
17 « Le prince parlant peu l’italien qu’ils appellent italien subtil me fit dire par son premier drogman ».Lettera in francese del 24.10.1816, A.N.T.
18 Filippi (Conte) Fragmens historiques et statistiques sur la Régence de Tunis. Suivis d’un Itinéraire dans quelques régions du Sahra. In: Charles Monchicourt Documents historiques sur la Tunisie. Relations inédites de Nyssen, Filippi et Calligaris (1788-1829-1834). Paris, 1929
19 Lettera del 28.03.1835, A.N.T.
20 La popolazione è « un mélange de Maures, de Turcs, Coroglis ou fils de Turcs, d’une cinquantaine de mille Juifs, et 2.500 à 3.000 chrétiens ».


In quel periodo tra il 1816 e il 1848, la chiesa cattolica contribuisce a cimentare la collettività sia per fede che per il ruolo “dei cappuccini nei confronti dei connazionali di qualsiasi regione, o di qualsiasi ideologia politica, pur diffidendo dei propositi liberali che minavano il Papato21, ma anche in contrapposizione ai “mori”. Le cerimonie “mantenevano salda la compagine spirituale della comunità italiana22, come ad esempio l’inaugurazione della chiesa di Santa Croce avvenuta il 31 dicembre 1837: essa è l’occasione di una grande festa che raggruppa tutta la collettività (e non solo quella cattolica) di qualsiasi cittadinanza23. Non c’è una vita politica, i sudditi degli Stati italiani non hanno rappresentanti sul modello francese dei “deputati della Nazione”. L’agitazione politica è vietata, gli esuli e i patrioti sono sorvegliati dalla polizia beylicale ed insieme dai loro stessi consoli, al minimo sospetto vengono espulsi dal paese. Comunque vi sono i germogli di una coscienza nazionale e in una certa misura internazionale. Così nel 1839 Luigi Visconti e Giuseppe Viesti formano una loggia massonica con più di 30 associati di diverse nazioni24; inoltre una parte dei profughi politici essendo stati carbonari hanno una coscienza politica nazionale che li porta ad esempio a rallegrarsi quando dopo la crisi sardo-tunisina del 1832 il console sardo Filippi fa stipulare un nuovo trattato con la Reggenza, assai più vantaggioso. Malgrado la sorveglianza minuziosa Gaetano Fedriani25 riesce tuttavia a stabilire e poi a mantenere una corrispondenza abbastanza regolare con due esponenti della “Giovine Italia”: Mazzini allora esule a Londra e Fabrizi, anche lui profugo, stabilito a Malta.

Si può ritenere che il 1848 sia una data decisiva per le manifestazioni del patriottismo italiano in Tunisia. La concessione delle Costituzioni (Regno delle Due Sicilie, Stati Pontifici, Granducato di Toscana e Regno di Piemonte Sardegna) (ri)accende l’entusiasmo , in Tunisi26, dei patrioti e dei notabili della collettività. Per la prima volta, alcune centinaia di patrioti si radunano apertamente in piazza de la Bourse, esibendo la coccarda tricolore, prima di recarsi al Consolato di Piemonte Sardegna in via Zarkoun; arrivati davanti alla Casa consolare tutti cantano inni patriottici. Poi si celebra nella chiesetta di Santa Croce sita in via de l’Eglise una cerimonia solenne a cui partecipano vari consoli, primo dei quali il console sabaudo che fa un breve discorso agli astanti. Per la prima volta tutti parlano la stessa lingua: l’italiano.

Oggi 4 marzo 1848 vi fu solenne funzione in questa Chiesa di Tunisi per gli affari d’Italia. Costituzione accordata dal Governo sardo. Monsignor Vicario pontificò indi Tedeum, e Benedizione col Venerabile, presente tutta la Nazione Italiana con cocarda tricolore rosso bianco e verde.27

Il fallimento delle rivoluzioni non diminuisce il loro fervore patriottico, anzi si rafforza a contatto con la nuova ondata di fuorusciti politici approdati a Tunisi. Nel loro insieme gli esuli politici segneranno la collettività in modo duraturo per la coscienza politica dimostrata, per i valori di democrazia e di laicismo affermati, per l’impegno assunto nella vita della collettività.

21 Achille Riggio Riflessi del Risorgimento italiano a Tunisi (1847-1870). In: Rassegna Storica del Risorgimento. A XXXVIII. Fasc. III-IV. Luglio-dicembre 1951, p.619
22 idem
23 Anselme des Arcs (R.P.) Mémoires pour servir à l’histoire de la Mission des Capucins dans la Régence de Tunis (1624-1865). Revus et publiés par le R.P. Apollinaire de Valence, Rome, 1889. p. 110 e passim.
24 Ersilio Michel op. cit. p. 120
25 Profugo genovese, compromesso nei moti della "Giovine Italia" del 1833, Gaetano Fedriani (Genova 1811 – Tunisi 1881) sbarcò a La Goletta in giugno del 1834. “[...] già godeva fama di provetto e ardimentoso cospiratore”. Ersilio Michel, op. cit. p. 96
26 Questo paragrafo ha come fonte essenziale l’articolo di Augusto Gallico La colonia italiana di Tunisi nel 1848 (con documenti inediti dell' Archivio di stato di Torino). Estr. da : "Il Ghibli", n° 11, 1932. Tunis, Impr. Rapide, s.d., 23 p.
27 Achille Riggio articolo cit.


Formazione dei ragazzi

Nella prima metà dell’Ottocento, nella Reggenza di Tunisi, esiste soltanto un sistema scolastico arabo basato su due gradi: il kuttab ossia la scuola coranica che impartisce un insegnamento elementare e l’Università sita nella moschea della Zitouna, che dà un insegnamento superiore. Nel 1840 Ahmed Bey crea nel palazzo del Bardo una Scuola politecnica per allievi arabofoni della Reggenza, con professori europei che danno loro un insegnamento scientifico con lo studio delle lingue, lo scopo essendo quello di formare i futuri ufficiali e i membri dell’alta amministrazione del paese.
Per quanto riguarda gli Europei, non hanno scuole, i figli dei benestanti ricevono un’educazione a casa da precettori come Pietro Martire (morto di peste nel 1818), e certo Neuman, oppure Luigi Visconti, Rubino Lanzillo, Giuseppe Imbimbo negli anni 1820-1830; altrimenti sono mandati in una scuola all’estero.
Le prime scuole europee vengono create a partire dal 1831. Pompeo Sulema, esule toscano venuto da Livorno, con sua sorella Ester apre la prima scuola italiana dove vengono subito iscritti 22 ragazzi di cui 7 femmine. In breve tempo, la scuola riscontra un forte successo sicché il Sulema si associa con l’abate Bourgade che ne diventa il direttore. L’insegnamento generale è dato in italiano ma sono insegnate anche le lingue quali il francese, l’arabo, il latino e il greco28. La peculiarità di questa sta nell’impartire un insegnamento laico a ragazzi di qualsiasi religione e nazionalità. Benché quest’esperienza non sia durata, è comunque servita a diffondere l’idea di un insegnamento laico per tutti i ragazzi29.
Le altre scuole europee invece sono confessionali: l’Istituto Enriquez, scuola elementare ebraica creata nel 1840 da Giuseppe Morpurgo con due maestri Luisada e Salone, chiusa poi nel 186330. Per quanto riguarda le congregazioni cattoliche, esse creano un insegnamento femminile con Emilie de Vialar e il suo ordine, le Soeurs de Saint-Joseph de l’Apparition (1840), e un insegnamento maschile con i Frères des Ecoles Chrétiennes31 (1855). Sono scuole aperte a tutte le cittadinanze e religioni, con classi gratuite per i poveri e classi a pagamento per i facoltosi. L’insegnamento si fa in francese ed in italiano. Nel 1859 la scuola maschile della Kasba32, aperta nel 1855, conta già 183 allievi che ricevono un insegnamento in francese e in italiano, con un po’ d’arabo. La scuola rimane gratuita fino al 1863 quando si decide che ormai sarà a pagamento per gli allievi francesi. Questi ordini aprono anche scuole nelle città costiere del paese.
Nel 1845 l’abate Bourgade crea il primo collegio francese “Saint-Louis” in un vicolo cieco della via Sidi-el-Morjani, chiamato poi Zanguet-el-Babas (Via del Missionario). Il governo di Luigi Filippo, consapevole dell’importanza di quest’iniziativa, gli dà una sovvenzione annua di 6000 franchi. Il collegio è frequentato da ragazzi maschi di qualsiasi religione e cittadinanza. Il programma degli studi comprende l’insegnamento del francese e dell’italiano, le matematiche, storia e geografia33. Ma nel 1858, stanco e malato, l’abate lascia la Tunisia e il collegio è chiuso.
Alla vigilia dell’Unità d’Italia quindi esiste essenzialmente in Tunisia per gli Europei un insegnamento elementare in scuole per lo più dipendenti dalle congregazioni, ma aperte a tutti i ragazzi.

28 Gaston Loth L’organisation de l’enseignement italien en Tunisie. Articolo pubblicato in : L’Unione, 24.04.1898
29 Leila Adda Conférence cit.
30 Paul Lambert Choses et gens de Tunisie. Dictionnaire illustré de la Tunisie. Tunis, C. Saliba, 1912. Voce : Enseignement italien.
31 François Dornier Les Catholiques en Tunisie au fil des joursTunis, 2000. p. 529 e seg.
32 Questa scuola esiste ancora oggi nella Medina di Tunisi.
33 Louis Machuel L’enseignement public dans la Régence de TunisParis, Imprimerie nationale, 1889. p. 2





  1. L’italianità come riferimento identitario (1861-1896)
A partire dal 1861 il Regno d’Italia diventa la madre patria a cui la collettività fa appello. Tutti sono ormai sudditi di esso, ne hanno il passaporto, ma per una stragrande maggioranza non ne possiedono né la lingua né la cultura.
Perciò il periodo 1861-1881 segna una svolta. Nell’Italia unita che non ha fatto la sua rivoluzione sociale, gli sconvolgimenti economici e sociali hanno per conseguenza una gravissima depressione economica. Il rimedio ovviamente negativo è l’emigrazione. Così flussi migratori si riversano nell’Europa occidentale, nel Nuovo Mondo e, in misura minore, verso la Reggenza di Tunisi.
La conquista francese della Reggenza e la successiva instaurazione del protettorato avranno due conseguenze maggiori.
Da una parte esse ravvivano la discordia tra Francia e Italia e spingono alla radicalizzazione della collettività italiana, in particolare della borghesia commerciale, ché numerosi erano coloro che si erano abituati a considerare la Tunisia quasi come una provincia italiana e che lo sarebbe divenuta nei fatti appena le circostanze lo avessero permesso.
Dall’altra, con la sua politica di grandi lavori, il protettorato apre delle prospettive di sviluppo e di lavoro mentre l’Italia conosce un terribile marasma. Migliaia d’Italiani raggiungono i compatrioti già sistemati nella Reggenza dove trovano nuove opportunità di vita e di lavoro, qualche volta con la possibilità di una certa ascensione sociale. Tantissimi sono dialettofoni e analfabeti, ma sono aperti, pronti ad imparare gli idiomi del paese, come i personaggi emblematici del romanzo La partenza34:

A Tunis, il avait noué des relations de travail et d’amitié avec des Français, des Maltais, des Juifs et des Arabes. Ce petit monde cosmopolite lui convenait. Chaque communauté avait ses spécialités professionnelles, ses coutumes et…sa langue. Et pour vivre, mieux valait connaître au moins l’arabe dialectal et le français. Il s’y était mis par nécessité, mais aussi par goût, et comme beaucoup de Tunisois, il put rapidement pratiquer, avec plus ou moins de bonheur, ces langues nécessaires à son travail.35

La loro cultura è orale, tramandata di padre in figlio, mantenuta dalla memoria familiare e da quella collettiva. Conoscono le canzoni della loro regione, assistono agli spettacoli dei "Pupi", ascoltano i "cantastorie". Quando saranno in grado di leggere, saranno i clienti di una stampa locale in dialetto siciliano36.
Questa immigrazione proletaria modifica le caratteristiche sociali della collettività italiana di Tunisia come osserva il console italiano T. Carletti, nel 1903 :

L’elemento operaio prevale largamente e tra il 1885 e il 1895 la colonia è diventata essenzialmente operaia mentre era fino allora commerciante.37

I Consoli generali d’Italia insediati nella Reggenza di Tunisi dal 1861 organizzano la vita della collettività e ne rafforzano la coesione, propugnando e difendendo l’italianità. La costruzione identitaria della collettività va fatta in adeguatezza con la politica nazionale. A questo scopo hanno a disposizione alcuni mezzi per diffondere la lingua italiana ed insieme fare propaganda politica tra cui le istituzioni scolastiche, la "Dante Alighieri"38 e la stampa39. Ci limiteremo a parlare delle istituzioni scolastiche.

34 Michele Auguglioro La partenza. La saga d’une famille sicilienne de Tunisie. Première partie 1887-1909 Tunis, ed. Carthaginoiseries, 2008.
35 Michele Auguglioro La partenza.p.67. Il brano qui citato si svolge nel 1887.
36 Vedasi: Ahmed Somai Gli Italiani di Tunisia attraverso la stampa umoristico-dialettale . L’esempio di “Simpaticuni”. In: Silvia Finzi (a c) Memorie italiane di Tunisia. Finzi ed., Tunisi, 2000; Ahmed Somai Sulla poesia dialettale degli Italiani di Tunisia. In: D. Laguillon Hentati – S.Finzi (a c) Scrittori e poeti italiani di Tunisia. Finzi editore, Tunisi, 2007
37 « L’élément ouvrier a pris largement le dessus et, entre 1885 et 1895, la colonie est devenue essentiellement ouvrière alors qu’elle était commerçante ». In : T. Carletti La Tunisia e l’emigrazione italianaIn: Bollettino Emigrazione, 1903, vol. II, pp. 26-27. Cité par Michele Brondino in : La presse italienne en Tunisie. Histoire et société (1838-1956). Trad. Y. Fracassetti Brondino. Publisud, 2005. / (Trad DLH)
38 Per il ruolo della "Dante", vedasi: Leila Adda La Dante Alighieri. In: Memorie, op.cit. pp. 77-83
39 Per la stampa, si vedano le pubblicazioni di Michele Brondino.






Il ruolo delle scuole

Ricordatevi bene di quello che vi dico. [...] Voi dovete rispettarvi, amarvi tutti fra voi; ma chi di voi offendesse questo compagno perché non è nato nella nostra provincia, si renderebbe indegno di alzare mai più gli occhi da terra quando passa una bandiera tricolore40.

Sin dal 1863 lo Stato italiano si fa carica delle poche scuole italiane che esistono allora nella Reggenza ed inizia una vera e propria politica scolastica per costruire l’unità linguistica e culturale dell’Italia, per formare altresì i futuri dipendenti di cui lo Stato avrebbe avuto bisogno.
Va ricordato che la scuola italiana sorse infatti nel 185941 per iniziativa del Regno di Piemonte Sardegna, fu estesa prima al Piemonte e alla Lombardia, poi a tutto il Regno d'Italia, nel corso del processo di unificazione nazionale. La legge Casati istituiva una scuola elementare articolata su due bienni e stabiliva il carattere obbligatorio (però solo del primo biennio) e gratuito dell'istruzione elementare.

Obiettivi fondamentali dell' istruzione obbligatoria pubblica, secondo Casati, furono: unificare in un sistema scolastico statale fortemente centralizzato tutte le istituzioni scolastiche preesistenti, egemonizzate dal clero, e caratterizzate da particolarismi localistici, regionali e comunali; strappare al clero l'egemonia nel campo dell'istruzione e dell'educazione; formare le nuove classi "medie", che avrebbero dovuto costituire il corpo della nuova organizzazione dello Stato unitario (la burocrazia, l'amministrazione, l'organizzazione militare ecc.)42.

La politica nazionale nel campo educatico viene applicata anche all’estero laddove esistono collettività italiane. In seguito ad una circolare del Ministro degli Esteri dispacciata a tutti i consoli del Levante per attirare la loro attenzione sull’importanza morale e politica di quelle istituzioni, concludendo con l’affermare che il Regio Governo avrebbe aiutato i privati a creare scuole, il console generale italiano in Tunisi, Carlo Francesco Gambarotta, spiega notevoli sforzi per aiutare la collettività. Una scuola è creata mediante sottoscrizione pubblica e inaugurata il 4 gennaio 1864, in presenza degli esponenti della collettività italiana. Essa prende poi nel 1874 il nome di Collegio italiano43 al quale il Governo italiano dà una sovvenzione annua. Poi nel 1870, per consentire agli allievi di proseguire gli studi, viene creata una Scuola tecnica.

Dal 1881, per opporsi al protettorato francese, il Governo italiano raddoppia gli sforzi creando una rete di scuole elementari, essenzialmente nelle città costiere, arricchita nel 1887 dall’apertura di un Convitto italiano alla cui direzione è chiamato da Milano un ex ufficiale, il conte Tito Cybeo.
La legge Coppino del 187744 e poi la riforma Crispi del 1888 riorganizzano la scuola in Italia e all’estero. Ormai le scuole italiane in Tunisia sono statali, dipendenti dal Console generale d’Italia e amministrate dalla deputazione scolastica. Esse generalizzano l’insegnamento elementare, il che consente d’“italianizzare” le popolazioni immigrate. Impartendo un insegnamento in lingua italiana, le scuole uniformizzano il livello linguistico cancellando i dialetti. Esse permettono altresì di trasmettere la conoscenza della letteratura italiana e degli autori, la storia dell’Italia e del Risorgimento con i suoi protagonisti, primo dei quali il Re d’Italia45, ed anche Garibaldi, l’Eroe dei Due Mondi, figura mitica degli Italiani di Tunisia, i loro valori, tutti elementi dell’italianità.

[...] le raccomandazioni della Circolare del 1863 che attribuisce alla scuola la funzione di salvaguardare l’italianità (e la perifrasi “spirito nazionale” è chiarissima) è stata fin troppo bene attuata dai dirigenti scolastici; perciò oltre la loro funzione di impartire l’istruzione, le istituzioni scolastiche assumono anche una funzione educativa: quella di custode dell’italianità46.

Sul modello francese, il nuovo Stato italiano intende quindi unificare a scapito delle culture minori: un solo Stato, una sola lingua, una sola cultura. La maggioranza della collettività opta per l’italiano. Parlare e scrivere l’italiano, cioè la lingua nazionale, è ormai un modo di dimostrare il proprio patriotismo. Tuttavia la scuola non è chiusa su sé stessa in quanto l’arabo e il francese sono anche insegnati, il contesto locale è quindi preso in considerazione per ragioni di convivenza e di lavoro.
Ma le Convenzioni del 28 settembre 1896 tra Tunisia sotto Protettorato francese e Stato italiano, pur lasciando una grande libertà alle scuole italiane, impongono uno status quo: le 23 scuole47 allora esistenti non possono più essere ingrandite né se ne possono creare altre. Considerando l’importanza della collettività, esse diventano insufficienti nelle città e sono addirittura inesistenti nelle campagne. Nel 1900 le scuole italiane contano 5.256 allievi48 per una popolazione di 71.000 Italiani49.

Le scuole elementari francesi completano dunque la scolarizzazione, causando l’assorbimento e l’acculturazione dei ragazzi ad esse affidati.
Nel 1883 il Governo francese crea la Direzione dell’Istruzione Pubblica (D.I.P.) in Tunisia con Louis Machuel direttore. La costruzione di scuole comincia ad un ritmo accelerato. Nel 1889 si contano 67 istituzioni scolastiche di cui 47 laiche, per un totale complessivo di 9.494 iscritti, 8.702 presenti di cui 862 francesi, 1.410 italiani, 1.137 anglo-maltesi, 986 israeliti, 1.761 musulmani, 104 di varie nazionalità nelle scuole pubbliche; 2.442 allievi nelle scuole private di cui 86 italiani50. I nuovi immigrati sono fieri che i figli possano compiere studi sanciti dal “Certificat d’études”.

  • Vous verrez tout à l’heure Gigino et Pasquale, ils sont tous les deux à l’école. Gigino va passer son Certificat d’Etudes, annonça fièrement la Mamma.
  • C’est un diplôme français. Avec ça ils peuvent faire plusieurs métiers, surtout dans l’Administration, précisa Agostino.
Giuseppina s’émerveilla de savoir que les petits cousins avaient pu déjà passer la barrière de la langue au point d’obtenir un diplôme "français"51.

La fitta rete delle scuole elementari francesi sia nelle città che nei villaggi delle campagne consente ai ragazzi italiani di ricevere un insegnamento in lingua francese con qualche nozione in italiano e in arabo. L’insegnamento medio inferiore è impartito in collegi a Tunisi, Susa, Sfax e Bizerta, quello medio superiore nel Liceo Carnot52 a Tunisi. Un insieme di biblioteche pubbliche situate spesso nelle scuole elementari completa il sistema per la divulgazione della lingua e della cultura francese.

Dans l'écheveau
D'un quartier maure
Clos à l'aurore
Comme un caveau,

Laïque Mecque
Sans faux éclat,
Se dresse la
Bibliothèque53.


Nondimeno malgrado la forte crescita della scolarizzazione, la metà circa dei ragazzi italiani restano analfabeti. Ma anche una parte di coloro che vanno a scuola continuano a parlare i dialetti usati in casa, nelle famiglie, come lo racconta Rosa Canonici54, maestra a Hammam-Lif. Va detto che i due sistemi scolastici (francese e italiano) sono basati sull’insegnamento elementare che permette d’inserirsi nel mondo del lavoro, che dal 1898 verrà rafforzato da un insegnamento professionale nelle scuole francesi. I licei, tutti situati a Tunisi, sono a pagamento il che consente raramente ai figli dei ceti bassi di studiarci. Essi assumono la funzione di riproduzione delle élites.


40 Edmondo De Amicis Cuore. Newton Ragazzi, Roma, 1994. p. 7
41 Legge Casati del 13.11.1859 sul Riordinamento dell’Istruzione pubblica.
42 Milena Cossetto Per una storia della scuola in Italia :1861-1993Pubblicato in: Pädagogisches Institut Bozen Und Pädagogisches Institut Tirol, Auf den Spuren Schulgeschichte, Lana (Bz) 1986.
43 Gaston Loth Articolo cit.
44 La legge Coppino portava la durata delle elementari a 5 anni, e introduceva l'obbligo scolastico nel primo triennio delle elementari stesse.
45 Sul ruolo di Casa Savoia nel processo d’italianizzazione, vedasi: Catherine Brice La monarchie et la construction de l’identité nationale italianne 1861-1911Doctorat d’Etat sous la direction du Pr Pierre Milza, Institut d’Etudes Politiques de Paris, 2004
46 Adrien Salmieri Sur quelques aspects organisationnels de l’Ecole italienne en Tunisie (1863-1943). In : Silvia Finzi (a c) Memorie italiane di Tunisia. Finzi ed., Tunisi, 2000. p. 54
47 L’elenco delle scuole italiano è ufficialmente fatto e pubblicato dal Giornale Ufficiale. A Tunisi: R. Liceo ginnasiale Vittorio Emmanuele, R. Scuola tecnica commerciale Umberto I°, R. Scuola elementare maschile Umberto I°, R. Scuola elementare maschile Principe di Napoli, R. Scuola elementare maschile Giovanni Meli, R. Scuola femminile di perfezionamento Margherita di Savoia, R. Scuola femminile professionale Margherita di Savoia, R. Scuola elementare femminile Margherita di Savoia, R. Scuola elementare femminile Giuseppina Turrisi Colonna, R. Asilo infantile Giuseppe Garibaldi, R. Asilo infantile Francesco Crispi, Orfanotrofio Regina Margherita (direttrice Suora Giuseppina Civalleni), Convitto Nazionale Italiano. A Susa: Scuola elementare maschile, R. Scuola elementare femminile, R. Asilo infantile. A La Goletta: R. Scuola elementare maschile, R. Scuola elementare femminile, R. Asilo infantile. A Sfax: R. Scuola elementare maschile, R. Scuola elementare femminile. Due scuole private italiane: Scuola maschile Italiana (direttore Alberto Friscio) a Bizerta; Istituto di Sant’Oliva (direttrice Signorina Audiconi) al Kram. Fonte: "La Dépêche tunisienne", 15.02.1898
48 Gaston Loth articolo cit.
49 Nullo Pasotti op. cit. p. 50
50 Louis Machuel L’Enseignement public dans la Régence de Tunis. Paris, Imprimerie nationale, 1889. p. 6
51 Michel AugugliorLa partenza. p. 66
52 Gaston Loth articolo cit.
53 Marius Scalesi Scalesi La bibliothèque de Souk el AttarinePoèmes d’un maudit. 3ème édition, Tunis, E. Saliba et Cie, 1935

54 Rosa Canonici Testimonianza diretta. Tunisi ottobre 1937, Roma giugno 1944. Napoli, 1996








Non è stato possibile approfondire il discorso entro i limiti stretti di un articolo. Comunque questi elementi ci consentono di dire che la collettività italiana di Tunisi, fortemente eterogenea all’inizio, riuscì grazie all’insegnamento e alla diffusione della lingua italiana a formarsi una compagine spirituale e a forgiarsi una identità comune : dapprima identità patriottica, in seguito identità rivendicata dell’italianità. In questo lungo processo la lingua ebbe un ruolo fondamentale in quanto giovò a cementare la collettività. Tuttavia quell’identità non era monolitica, presentava delle differenze causate sia dall’analfabetismo che perdurava che dalle situazioni sociali variegate. La frattura socioculturale, gli interessi di classe come pure la politica italiana portarono nella prima metà del Novecento alle divisioni politiche, a due concezioni opposte dell’italianità tra fascismo e antifascismo.
Molte altre piste si offrono alla riflessione, come ad esempio il ruolo della scuola nella formazione dei cittadini; i rapporti tra insegnamento ed ideologia dominante; l’egemonia di una lingua e quindi di una cultura a scapito di altre, e il suo corollario l’acculturazione; il concetto di modello unificatore e riduttivo il quale può creare delle ideologie di divisione; l’evolversi dell’identità nazionale in relazione con le diverse identità collettive. Piste che ci sembrano del tutto pertinenti nel periodo travagliato in cui viviamo, in un’Europa che stenta a costruirsi in preda al revival dei vari nazionalismi.


Danielle Laguillon Hentati